mercoledì 29 aprile 2009

Una linguistica "feudale"

_______________________________________________
Gaston-Gilles Granger, epistemologo sconosciuto agli italiani ma molto apprezzato in Francia e spesso citato dal grande Gilbert Lazard, ha sostenuto più volte che la linguistica è una "proto-scienza". Il "proto-" va inteso nello stesso senso in cui appare in protostoria, in quanto la linguistica, a dispetto del suo strepitare e del deplorevole marketing mediatico che alcuni ne fanno, è ancora ai primordi dell'evoluzione delle scienze. Granger ha portato diversi argomenti interni, epistemologici, a sostegno della sua dura valutazione. A quelli credo che si possano aggiungere altri argomenti esterni, non meno significativi.

Nelle scienze più svariate esistono scuole, indirizzi e prospettive diverse e maniere differenziate di interpretare i fenomeni. Alcune di queste varietà permettono addirittura di "vedere" cose che altre non vedono. Ma, quale che sia la scienza in questione, esistono dei paradigmi più o meno consolidati e stabili, condivisi e praticati, che costituiscono la base concettuale e metodologica della scienza stessa. L'unità sottostante di cui parlo non esclude, naturalmente, varietà di metodi analitici, di concetti operativi, ecc. Il grado di stabilità di una scienza dipende proprio dalla sua capacità di costruire assise unitarie.

Le scienze cosiddette umane, al contrario, si distinguono per la varietà pressoché frattale degli orientamenti. Basta guardare la filosofia, la sociologia, la psicologia per avere un'impressione di questo genere. Gli indirizzi e le scuole faticano a trovare aggettivi abbastanza espressivi per marcare la propria caratteristica. A un inesperto la varietà suddetta può sembrare ricchezza; in realtà, è indizio sicuro del fatto che quella disciplina è ancora una "protoscienza", distante dai fatti, incentrata più sui caposcuola che sui fenomeni, poco propensa alla generalizzazione delle proprie formulazioni. 

La linguistica, ahinoi, sta tra queste ultime discipline. I giovani che si avviano ai nostri studi (malgrado la confusione imperante, ce ne sono ancora parecchi, benché -- giudicando dalle candidature dei dottorati italiani --  ogni anno di meno) si domandano per prima cosa: "In che quadro [anzi: framework] mi metto? Quale permette di concludere più facilmente? Quale permette di fare prima carriera?" Direi, senza voler malignare, che queste domande sono preliminari a quella che dovrebbe essere fondamentale per qualsivoglia scienza, e cioè: "Quale [dei vari frameworks] permette di avvicinarsi di più a capire le cose come stanno?" Quest'ultimo interrogativo si presenta tardi (if ever), perché i giovani capiscono subito, frequentando congressi e incontri, che la disputa teoretica, da noi, è talmente divaricata che alla fine... questo o quello pari sono!

Se volete un campione eloquente di queste notazioni, basta rivolgere lo sguardo non tanto all'Italia (frantumata anche qui, oltre che in tanti altri ambiti) quanto alla Francia. Rotta con il post-strutturalismo la bella unità teorica dell'epoca di Meillet, anche per l'azione duramente egocentrica e spesso repressiva del martinettismo e il singolare episodio del guillaumismo, in linguistica la Francia riproduce oggi quasi la situazione dell'epoca feudale. Come allora c'era per ogni castello, un signore, in linguistica c'è, per ogni università, un caposcuola (o anche più d'uno). E siccome le università e i laboratoires sono numerosi, sono numerosissimi i capiscuola, le scuole, i rappresentanti delle scuole e i loro rispettivi dottorandi. Insomma, la frammentazione è vastissima. Il francese offre una divertente formula verbale a chi domanda che linguistica si faccia in questa o quella sede. Qui si dirà "On fait du Gross", lì "On fait su Kleiber", più in là "On fait du Culioli", eccetera!

Non voglio, sarà chiaro, parlare solo della Francia. Gli USA sono quasi allo stesso livello: il generativismo ha sotto-scuole, molti gruppi eretici e alcune code di apostati (e di spostati). Il funzionalismo (ah, che termine improprio e poco espressivo!) ha mille sottoscuole: qua "on fait du van Valin", là "on fait du Givon", lì ancora "on fait du Talmy", e così via. In altri paesi, con minore frammentazione, si presenta la stessa situazione. Questi fenomeni sono indicatori dello stato della disciplina: varia, variegata, frantumata e non intercomprensibile

Ogni castello un principe è troppo. Non serve all'avanzamento delle conoscenze, non serve ai giovani, non serve alla definizione dell'immagine della linguistica rispetto al mondo esterno. Serve solo a confondere le idee. Uno dei compiti delle due generazioni future di linguisti (quelle cioè che opereranno prima che l'informatica ingoi tutte le nostre scuole e sottodiscipline e le unifichi forzosamente come sue applicazioni) sarà proprio quello di cominciare a collegare i castelli e a "uccidere" opportunamente i signorotti, per arrivare prima che si possa a una scienza linguistica unificata e degna del nome.

domenica 19 aprile 2009

Il giorno dopo

____________________________________________________
Noam Chomsky, il creatore della linguistica generativa, compie ottant'anni nel 2009. Tutti gli facciamo auguri di ancor lunga e fruttuosa vita

Il suo movimento ha più o meno mezzo secolo, essendo nato alla fine degli anni Cinquanta nella scia della pubblicazione di Syntactic Structures (1957). Non s'era mai visto, nella storia della nostra disciplina, un movimento ideologico-culturale così durevole, né è frequente il caso di un indirizzo che sia cresciuto per tanto tempo sotto l'occhio, più o meno benevolo, del suo fondatore vivente. E neanche in altre discipline un siffatto fenomeno è mai stato frequente. La psicoanalisi (che ebbe un irraggiamento e una dinamica evolutiva simili a quelli del generativismo, a partire dall'implacabile carisma personale del fondatore) non raggiunse un primato di questa portata. In generale, del resto, si calcola che le rivoluzioni (quelle politiche non meno che quelle scientifiche) durino più o meno una ventina d'anni, cioè coincidano con la vita della prima generazione delle sue élites. Dopo, nella scienza, o diventano 'scienza normale' (per usare l'utile espressione di T. S. Kuhn) o si dissolvono. 

Nel caso del generativismo, queste previsioni sono state sovvertite. L’indirizzo non è affatto diventato scienza normale (anzi: è ancora costantemente bersaglio di polemiche), ed è durato ben più della vita della prima generazione dei suoi esponenti (ciò dipende, certo, dal fatto che il padre fondatore è ancora vivo e attivo.) Il movimento, tra l'altro, si è infiltrato con propaggini varie in altri ambiti scientifici e intellettuali, producendo effetti non indifferenti: in alcuni ambiti infatti c'è chi si è convinto che quellagenerativa sia non una scuola di linguistica tra le tante, ma la linguistica tout court, alimentando così una pericolosa distorsione. 

Guardando le cose dall’altro lato, non sono pochi, in linguistica, quelli che ritengono che il generativismo sia stato essenzialmente uno sviamento rispetto a un cammino che, negli anni Cinquanta e Sessanta, si stava delineando con precisione e autorevolezza. Strutturalismo europeo e statunitense avevano disegnato una vasta piattaforma, da cui un importante programma di ricerca stava partendo. (Un’opinione di questo tenore l’ho raccolta a Parigi qualche mese fa, dalla viva voce di uno dei grandi decani della nostra povera scienza, e la condivido appieno. Non credo di essere il solo a pensarla così, e sono sicuro che se si facesse una consultazione estesa si scoprirebbe che questa valutazione è piuttosto diffusa).

Certo, anche chi non segue il movimento da vicino né lo ama in modo particolare (come me) deve riconoscere che gli si deve molto: dalla scoperta di una varietà di fenomeni linguistici che forse sarebbero rimasti ignorati, alla sensibilizzazione di altre discipline che forse sarebbero rimaste ignare, alla creazione di collegamenti e nessi. Non è poco. Ma non si può neanche trascurare che il movimento di Chomsky ha fatto della linguistica un dominio bipolare con ricorrenti accenti di apartheid. La bandiera sembra essere: chi è dei nostri va bene, chi non è dei nostri non rileva. Questa faglia ha finito per costituire un unicum nella storia intellettuale del Novecento, e, ancora, del Duemila. 

La frattura non potrebbe essere più evidente. I due partiti pubblicano su riviste diverse e mutuamente esclusive, hanno gerghi e riferimenti separati, parlano linguaggi non convertibili, ignorano gli uni i lavori degli altri, hanno frequentazioni complementari (e perfino costumi semi-endogamici), fanno congressi non intercomunicanti, e in molti casi si contendono, quasi come lobbies avverse, case editrici, posizioni, borse e finanziamenti. La mancanza di intesa è totale, la litigiosità (teorica) piuttosto elevata, e non mancano perfino episodi di discriminazione.

Io credo che questa bipartizione sia stata una reale catastrofe (nei due sensi del termine: svolta e disgrazia) e che abbia comportato, nella storia recente della nostra disciplina, costi intellettuali e umani spropositati e una quantità di vittime (teoriche e individuali) che ci saremmo potuti risparmiare. Sarebbe ora di cercare un punto di saldatura e immaginare un futuro coeso e (per quel che si può) pacifico. 

Il fatto che Chomsky sia oggi ottantenne pone il problema in modo evidente e ineludibile. Tutti gli auguriamo lunga vita, è ovvio, ma è nell'ordine della natura che a un certo momento si porrà il problema di come andare avanti. Non mi pare che nel movimento ci siano figure dotate del carisma (e dell’imperio intellettuale) del fondatore, anche se diverse candidature in pectore si intravvedono. Anche qui la psicoanalisi offre un analogo interessante. Alla morte di Freud, solo Jung poté candidarsi alla successione, e, dopo di lui, fu la diaspora più completa, che non è ancora finita. Analogamente, si può prevedere che la funzione di feeding intellettuale e teorico che per cinquant'anni Chomsky ha svolto di persona, con impressionante costanza e con totale, inconcussa indifferenza a ogni sorta di critica, rimarrà prima o poi senza titolare.

Mentre i generativi pensano (se poi lo fanno...) al loro futuro di scuola, cosa accadrà nel resto del mondo? Si potrebbe dire (un po' scherzando) che siamo dinanzi a uno di quei punti di biforcazione tipici della storia evolutiva. Come a un certo momento l'Homo Sapiens si separò dai suoi cospecifici e proseguì nell'evoluzione, in questo caso i generativi stanno forse per essere lasciati da un lato dall''altra' linguistica, che dopo mezzo secolo di piétinement riprenderà il cammino interrotto.

Non intendo dire che una delle due linee sarà costituita da scimmioni e l'altra da esseri umani (come potrebbe far sospettare la foto in alto...), ma ognuno dovrà, prima o poi, capire e far capire chi è.